“Mi sono sempre immaginato il paradiso come una specie di biblioteca.”
Jorge Luis Borges
Occorrono due chiavi per aprire le due ante della porta in legno scuro, costituita da 48 formelle intagliate che ha incisa la data 15 agosto 1454. Le formelle più in alto raffigurano quattro simboli legati alla signoria dei Malatesti quelli della rosa quadipetala, della grata, delle tre teste e le tre bande a scacchiera, opera di Cristoforo da San Giovanni in Persiceto.
L’infisso è incorniciato dal portale sul cui timpano campeggia un elefante: simbolo amato dalla famiglia e utilizzato anche al Tempio Malatestiano a Rimini. Un cartiglio, a differenza di quelli riminesi, si adagia sulle forme del possente animale con inscritto il motto “Elephas Indus culices non timet” che tradotto recita “L’elefante indiano non teme le zanzare”. Ai lati dell’architrave sopra le lesene gli stemmi della signoria quello della grata a sinistra e quello delle tre teste a destra. Sopra all’architrave un altorilievo con ritratto un altro elefante circondato da una ghirlanda il tutto racchiuso da una cornice quadrata. A destra della porta è apposta una targa in pietra che indica Matteo Nuti colui che condusse e portò a compimento i lavori di tale opera.
Si apre la prima anta della porta e poi l’altra. Attira il mio sguardo la luce che si diffonde dal rosone sulla parete in fondo alla navata centrale con la volta a botte, sostenuta da due file di colonne scanalate che sorreggono anche le altre volte, quelle a crocera, delle navate al lato destro e sinistro, dove sono disposti i plutei, che sono elementi essenziali dell’arredamento delle antiche biblioteche, che hanno la funzione di armadio e di leggio allo stesso tempo. I 58 plutei, 29 a destra e 29 a sinistra, ognuno con le effige dei Malatesta che si alternano e ripetono più volte, sono disposti vicino alle finestre ad arco acuto tutte identiche l’una all’altra. Esse fanno entrare la luce esterna che si diffonde nell’ambiente e giunge a terra sul pavimento in cotto che la riflette creando una sorta di righe chiare e poi scure con le ombre che si allungano dai plutei. Sono con Mattia e una bravissima guida al secondo piano di uno stabile. Quella in cui siamo entrati è la meravigliosa Biblioteca Malatestiana.
La biblioteca è costruita sopra all’allora refettorio del convento dei frati dell’osservanza francescana. L’idea di costruire uno studium annesso al convento era già maturata nella comunità che necessitava di spazi più ampi e adeguati per lo studio e collocazione dei testi. Dell’esigenza dei conventuali era già stato messo conoscenza anche il papa, ma venne però recepita, facendosene carico, da Novello Malatesta, era l’anno 1450 anche se qualcuno ipotizza che sia avvenuto qualche anno prima. Il mecenate in realtà si chiama Domenico Malatesta, nato a Brescia il 6 aprile del 1418, figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e di Antonia da Barignano. Nonostante sia nato fuori dal matrimonio, come del resto gli altri due fratelli Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo, ottenne dal papa Martino V la legittimazione e il conferimento del vicariato apostolico. I tre fratellastri erano gli unici eredi della dinastia malatestiana riminese e lo zio Carlo Malatesta si prodigò a ottenere il riconoscimento per il proseguimento. Quando nel 1432 morirono Elisabetta Gonzaga, vedova di Carlo Malatesta e Galeotto Roberto, i due fratelli Sigismondo Pandolfo e Domenico ottenuta la riconferma del vicariato dal papa Eugenio IV, divisero il territorio. A Domenico spettarono Cesena, Bertinoro, Meldola e le terre vicine, già destinate a lui, a dirla tutta, dal padre Pandolfo III. Un ulteriore riconoscimento venne attribuito dall’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, quando passò a Rimini nell’ottobre 1433, nel viaggio di ritorno da Roma, nominando conti palatini i due fratelli, alla presenza delle personalità cesenati che avevano avuto stretti rapporti di collaborazione con il precedente signore di Cesena, Andrea Malatesta detto Malatesta, morto nel 1416. Da allora Domenico prese il nome dello zio, facendosi chiamare Malatesta Novello, a indicare la volontà di proseguire il buon governo del suo predecessore.
L’architettura della Malatestiana di Cesena trova ispirazione nella biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze, opera del Michelozzo del 1444. L’edificio è orientato verso oriente, verso la Terrasanta, come se fosse una chiesa, con l’ingresso a ovest. Simbolicamente il sole viene considerato come se fosse il Risorto, sta scritto, infatti, in un versetto di Luca “Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre…” era quindi consuetudine per i religiosi edificare tenendo in considerazione questo riferimento essenziale. Notevoli le somme di denaro impiegate da Novello per mettere insieme i volumi della biblioteca, che si compone di 343 manoscritti, di questi, 50 sono il contributo dei frati, altri 129 verranno realizzati nello scriptorium su indicazione del signore e suoi dei valenti collaboratori appositamente chiamati e giunti a Cesena, altri verranno acquistati o ricevuti in dono o ereditati, in più, sono da aggiungere, i codici di Giovanni di Marco, il medico di Novello, che integrò ed arricchì il già importante numero di testi. Tutti i manoscritti sono riposti in piano sui plutei legati con una catenella in ferro battuto per impedire lo spostamento in altri luoghi, che permette comunque la consultazione e lo studio una volta poggiato il testo sul piano inclinato. Il valore di ogni manoscritto equivaleva al costo di una casa dell’epoca e richiedeva il contributo per realizzarlo di 6 o 7 persone. La qualità dei manoscritti è altissima, fin da subito riconosciuta dai suoi contemporanei, che potevano studiare e consultare essendo la biblioteca pubblica aperta a tutti, anche ai laici.
La scelta accurata dei testi, dei materiali usati: pergamena di capretto e il cuoio, la pregevole rilegatura e le preziose miniature farebbero pensare che Novello sia un bibliofilo appassionato, ma in realtà è più uno studioso appassionato. Appassionata studiosa del resto è anche l’amata moglie Violante, sorellastra di Federico da Montefeltro, che con molta probabilità contribuì o perlomeno condivise anch’essa le scelte del marito, restando però in disparte come era sua consuetudine, per via delle scelte spirituali che la donna fece in giovane età, dopo i tremendi lutti che la colpirono: la morte dei genitori e poi quella del fratello, ucciso davanti ai suoi occhi. Dalle epistole della amata e benvoluta signora di Cesena, si comprende l’indole umile e la formazione culturale di alto livello. Basti pensare che dopo la morte di Novello avvenuta nel 1465, la donna, proseguì il suo percorso sempre defilato nella storia, ma sempre incline alla generosità, si ritirò, infatti, al monastero delle clarisse osservanti intitolato al Corpus Domini di Ferrara, proseguendo i rapporti epistolari con i protagonisti di spicco delle signorie rinascimentali. La Malatestiana è l’unico esempio di biblioteca umanistica conventuale perfettamente conservata nell’edificio, negli arredi e nella dotazione libraria, come ha riconosciuto l’Unesco, inserendola, prima in Italia, nel Registro della Memoire du Monde.
La lungimiranza di Novello ha salvaguardato la biblioteca che nonostante sia parte di un convento, fatto usualissimo all’epoca, affida la custodia, al comune con l’impegno di vigilanza sull’intera collezione. Alla biblioteca malatestiana antica, si aggiunsero quella che viene definita piana, quella moderna e quella per i ragazzi. La chicca è un libricino grosso poco piu di due ditali stampato con i caratteri mobili di Gutenberg che detiene il record dell’edizione più piccola al mondo leggibile a occhio nudo. Mentre restano misteriose le ossa racchiuse nell’urna che è stata recentemente aperta che si trovava dietro la lapide posta sotto il rosone. Le indagini che si stanno effettuando sono per accertare se siano o meno le spoglie mortali di Novello. La biblioteca, orgoglio della città, è vivissima e frequentata e per chi lo desidera è possibile assistere al restauro in diretta dei manostritti. Mentre si chiudono le ante della porta e vengono fatte ruotare la prima chiave e poi la seconda nelle risperrive serrature, mi concedo il pensiero non supportato da fonti storiche, che Novello abbia voluto simboleggiare che il sapere debba essere di tutti e debba essere nelle mani sia della chiesa sia nelle mani dei laici. È bello immaginare che per Novello Malatesta la conoscenza sia da aprire con le chiavi differenti “ecclesiale e civile” e che insieme portino alla sintesi e al giusto equilibrio. Sarà un caso ma proprio il connubio tra le due istituzioni ha salvaguardato la biblioteca.
“Le biblioteche continueranno a sopravvivere finché noi continueremo ad attribuire parole al mondo che ci circonda, e a conservarle per i futuri lettori.”
Alberto Manguel
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