“Una biblioteca è un luogo dove si impara ciò che gli insegnanti hanno paura di insegnare.”
Alan Morton Dershowitz
Amo i libri e le biblioteche sono la passione che ho fin da piccino, fin da quando, lo ricordo con emozione nonostante siano passati tanti anni, mi regalarono il primo libro, era Zanna Bianca di Jack London e avevo compiuto in quel giorno sette anni. Ne ho acquistati molti, molti altri e altri li ho ricevuti in regalo, tutti sempre graditi. Le biblioteche e i librai mi attraggono ogni volta ed è difficile che esca da un negozio di libri senza aver acquistato un testo fresco di stampa. Mi piace leggere, documentarmi, studiare passando da un tema all’altro. Amo quell’odore buono che si libera quando sfogli le pagine di un libro appena stampato. Non potete immaginare che emozione sia stata quando, facendo la visita guidata nel Museo Diocesano di Molfetta, mi sono trovato inaspettatamente di fronte a un certo punto del percorso museale la Biblioteca Monumentale. La mia espressione è stata “wow”. In tempo zero mi sono fiondato per dare un primo sguardo agli scaffali e alle teche dove sono riposti i volumi, notando subito i testi più importanti messi ovviamente in evidenza, come il “Libro Rosso”, il
manoscritto pergamenaceo e cartaceo che documenta gli eventi storici di Molfetta dal 15 giugno 1323 al 20 luglio 1531. Gli altri testi allineati sui ripiani degli scaffali non sono preziosissimi o antichi, come quelli che si possono trovare ad esempio alla Malatestiana di Cesena.
La biblioteca ha però una sua ben precisa identità, valore e bellezza che non va assolutamente sottovalutata anche perché ci racconta il territorio in cui è sorta ed è lo spaccato culturale di un tempo, quello dell’ottocento, con testi, un edificio con la volta dipinta, gli scaffali in legno, che testimoniano il gusto, gli orientamenti di studio teologici, scientifici e letterari dell’epoca. Erano gli anni venti del milleottocento quando il Vescovo Filippo Giudice Caracciolo, con la collaborazione fattiva dell’Arciprete, scienziato e illuminista Giuseppe Maria Giovene, decise di intraprendere i lavori per costruzione della biblioteca che in un primo momento venne edificata sopra i locali dell’abitazione del monsignore. Il patrimonio librario era diventato di una certa importanza, si intendeva dare ai testi spazi adeguati dove riporli e per il consulto.
La biblioteca ad uso esclusivo ecclesiastico voleva fornire strumenti di studio anche laici che consentissero ai seminaristi e al clero di allargare il proprio bagaglio culturale fornendo una conoscenza che andava oltre ai canonici studi strettamente ecclesiastici. Il primo nucleo dei testi era costituito da quelli dell’ex collegio dei Gesuiti, dai testi appartenuti ai domenicani e quelli del convento dei francescani. Si aggiunsero i volumi della nutrita biblioteca di Giovene, i testi lasciati dal Monsignor Caracciolo ai quali si unirono quelli dell’Abate Vito Fornari. La storia di questa biblioteca riapre un cassetto della mia memoria, riaffiora il ricordo della vicenda di un professore di Bologna che, una ventina di anni fa decise di cambiare casa, andando ad abitare in una molto più grande, riteneva che quella in cui viveva non era più adeguata per suoi libri e che, a detta sua, “necessitavano di una collocazione che restituisse dignità ai preziosi volumi “. La vicenda della biblioteca di Molfetta non fu subito fortunata, i locali della prima edificazione dovettero smantellarli in fretta visti i seri problemi strutturali dovuti a errori di progettazione. La morte di Giovene nel 1837, il trasferimento di Caracciolo a Napoli nel ’33, richiese l’impegno del nuovo vescovo di Molfetta Giovanni Costantini. Stavolta, però, venne eretta sopra il refettorio, nel 1844 le fonti storiche ci riferiscono che l’opera era compiuta e completata con la scaffalatura in legno di noce che l’architetto G. Matropasqua di Giovinazzo progettò e l’ebanista Filippo Giacomantonio di Terlizzi realizzò. La decorazione della volta dipinta a tempera è del pittore molfettese Michele Romano che vi mise mano, tavolozza e pennello tra il 1890 e 1891. I temi delle scene più grandi raffigurano la storia, la religione, l’arte e la scienza. Otto riquadri ripercorrono otto epoche artistiche dalla quella assira, alla bizantina, alla gotica, alla greca, alla romana, alla rinascimentale, alla egizia e nei tondi invece troviamo i ritratti di uomini illustri che sono fonte d’ispirazione e suggeriscono un percorso per la crescita personale. Le lunette sulla perete a nord e quella a sud, troviamo raffigurate la fede in una e nell’altra è rappresentato il progresso tecnologico e scientifico, che forniscono un’ulteriore elemento di riflessione. La biblioteca compie il suo viaggio nel tempo fino a oggi, degna di nota è la scelta dell’apertura al pubblico voluta dal Monsignor Achillle Salvucci, perchè come direbbe Barbara Wertheim Tuchman “Non c’è nulla che mi faccia sentir male come la porta chiusa di una biblioteca”.
“Per quanto sia buono ereditare una biblioteca, è meglio crearne una.”
Augustine Birrell
#IVI
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